Courtesy of Emiliano Sciuba
Dylan Thomas (Swansea 1914 - New York 1953), mitizzato già in vita per la personalità “maledetta” e la simpatia umana che ispirava – basti pensare al cantautore americano Bob Dylan, classe ’41, nome d’arte in onore del poeta gallese –, è generalmente considerato l’iniziatore di un movimento poetico chiamato “Nuovo romanticismo” (New Apocalyptics), contrapposto al “classicismo” coevo e incline al rifiuto della poesia politicamente impegnata e al ritorno al mito. L’unicità delle visioni e il linguaggio personalissimo, basato su strutture volutamente antitradizionali e metafore arditissime composte in un linguaggio, sebbene oscuro, sempre carico di una comunicatività prorompente, hanno attirato l’attenzione di critici e traduttori fin dalla sua morte. In Italia la prima parziale importazione del genio thomasiano risale al 1954 grazie alla raccolta Poesie curata da Roberto Sanesi per Guanda; poi vi fu la raccolta, dall’omonimo titolo, curata da Ariodante Marianni per Einaudi nel 1965: entrambe sillogi incomplete del corpus thomasiano, ampliate nel ventennio seguente senza mai completare il lavoro di traduzione delle centonovantuno liriche che compongono il monumentum aere perennius del poeta di Swansea, oggi raccolte da tempo nell’edizione critica completa: The Poems of Dylan Thomas, a cura di Daniel Jones, 2003. La raccolta qui inedita, pensata dunque per completare la traduzione italiana dell’opera omnia in versi di Dylan Thomas, colmando così un vuoto editoriale imperdonabile giunti al settantenario dalla morte, consta di sessantadue poesie inedite di cui: ventidue estrapolate da quattro raccolte che 6 egli pubblicò in vita (Eighteen Poems, Twenty-Five Poems, The Map of Love, Deaths and Entrances) ma che i curatori italiani delle precedenti edizioni non elessero mai; ventisette tra le liriche che egli, tra il 1930 e il 1951, non antologizzò mai; infine tredici adolescenziali composte dagli undici fino ai sedici anni, che già enucleano con sorprendente meraviglia la maturità di pensiero e la limpidezza di sensibilità di Dylan Thomas. L’edizione di queste poesie ha il pregio di restituire al lettore italiano alcune tra le più significative visioni dell’imagery thomasiana: il risultato è una raccolta coerente e coesa attorno ad alcuni temi ricorrenti del poeta, come il mistero della nascita e il dramma del divenire, la consunzione del tempo e la condanna della morte, l’innocente peccato della carne e l’eterotopia dell’amore che, come la nave – il mare è un filo rosso di questi versi –, vive la propria pluridimensionalità di luogo “altro” e di mondo dentro il mondo, frammento galleggiante di spazio abbandonato all’infinità del viaggio. Come un bucaniere dell’Essere, l’amore “ha fatto vela abbagliando l’oceano dalla forma di mano” nelle regioni del cosmo che la parola magicamente solca. “Nelle civiltà senza navi, i sogni si inaridiscono” insegnava M. Foucault: Amore è il nocchiere e Thomas l’onirico nostromo di questa “debole casa diretta a un paradiso dalle colonne-a-midollo” (I make this in a warring absence).
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When once the twilight locks no longer
When once the twilight locks no longer
Locked in the long worm of my finger
Nor damned the sea that sped about my fist,
The mouth of time sucked, like a sponge,
The milky acid on each hinge,
And swallowed dry the waters of the breast.
When the galactic sea was sucked
And all the dry seabed unlocked,
I sent my creature scouting on the globe,
That globe itself of hair and bone
That, sewn to me by nerve and brain,
Had stringed my flask of matter to his rib.
My fuses timed to charge his heart,
He blew like powder to the light
And held a little sabbath with the sun,
But when the stars, assuming shape,
Drew in his eyes the straws of sleep
He drowned his father’s magics in a dream.
All issue armoured, of the grave,
The redhaired cancer still alive,
The cataracted eyes that filmed their cloth;
Some dead undid their bushy jaws,
And bags of blood let out their flies;
He had by heart the Christ-cross-row of death.
Sleep navigates the tides of time;
The dry Sargasso of the tomb
Gives up its dead to such a working sea;
And sleep rolls mute above the beds
Where fishes’ food is fed the shades
Who periscope through flowers to the sky.
The hanged who lever from the limes
Ghostly propellers for their limbs,
The cypress lads who wither with the cock,
These, and the others in sleep’s acres,
Of dreaming men make moony suckers,
And snipe the fools of visions in the back.
When once the twilight screws were turned,
And mother milk was stiff as sand,
I sent my own ambassador to light;
By trick or chance he fell asleep
And conjured up a carcass shape
To rob me of my fluids in his heart.
Awake, my sleeper, to the sun,
A worker in the morning town,
And leave the poppied pickthank where he lies;
The fences of the light are down,
All but the briskest riders thrown
And worlds hang on the trees.
*
Quando le serrature del tramonto non rinchiusero
Quando le serrature del tramonto non rinchiusero
Più il lungo verme del mio dito
Né il maledetto mare che sfrecciò sul mio pugno,
La bocca del tempo succhiò, come una spugna,
L’acido lattico da ogni giuntura
E prosciugò completamente le acque del seno.
Quando il mare galattico fu risucchiato
E tutto l’arido fondale marino dischiuso,
Inviai la mia creatura a perlustrare il globo,
Quello stesso globo di capelli e ossa
Che, cucitomi addosso con nervi e cervello,
Aveva incordato la mia fiasca di materia alla sua costola.
Programmate le mie micce per innescargli il cuore,
Esplose come polvere pirica alla luce
E tenne un breve sabba con il sole,
Ma quando le stelle, prendendo forma,
Attirarono nei suoi occhi le paglie del sonno
Sommerse in un sogno gli incantesimi del padre.
Corazzato di ogni male, dalla tomba,
Il cancro dai capelli rossi ancora in vita,
Le cataratte agli occhi a velarne i tessuti;
Alcuni morti spalancarono le folte mascelle,
E fuoriuscirono mosche da sacchi di sangue;
Lui conosceva a memoria l’alfabeto cristico della morte.
Il sonno naviga per le correnti del tempo;
L’arido Sargasso della tomba
Abbandona i suoi morti in un mare così energico;
E il sonno scivola muto sopra i fondali
Dove il cibo dei pesci nutre le ombre
Che come periscopi floreali guardano al cielo.
Gli impiccati che dondolano dai tigli,
Spettrali agitatori dei loro arti,
I ragazzi dei cipressi che appassiscono con l’uccello,
Questi, e gli altri negli acri del sonno,
Trasformano sognatori in romantici perdenti
E sparano alle spalle dei folli visionari.
Una volta allentate le viti del tramonto
E il latte materno addensato come sabbia,
Inviai alla luce il mio personale ambasciatore;
Per scelta o per caso si addormentò
E prese forma di carcassa per
Derubarmi dei miei fluidi nel suo cuore.
Dèstati al sole, mio dormiente,
Lavoratore nel paese mattiniero,
E lascia l’adulatore tossico dove giace;
Le barriere della luce sono abbassate,
I più rapidi cavalieri si sono quasi slanciati
E i mondi pendono dagli alberi.